Lo sviluppo della persona tra vero e falso Sé
In La distorsione dell’io in rapporto al Vero e Falso Sé, lo psicoanalista inglese Donald Winnicott scrive che l’agire materno può interferire nello sviluppo del vero Sé del bambino, ovvero del Sé più autentico, impedendone l’esperienza di sentirsi un individuo che agisce in base ai propri ritmi e alle proprie disposizioni. Se il genitore proietta i propri bisogni e le proprie emozioni sul bambino, sarà quest’ultimo ad adattarsi ai ritmi e ai bisogni dell’adulto, sviluppando un falso Sé, che si costituirà come una corazza protettiva intorno al vero Sé.
Il falso Sé è necessario per adattarsi ad un ambiente non empatico e per salvare il vero Sé, che verrebbe annichilito in un simile contesto. In questo caso è il neonato che va incontro alla madre e non viceversa. Nel delineare la genesi del falso Sé, Winnicott tiene conto sia delle caratteristiche dell’ambiente, che degli aspetti essenziali dell’individuo: se in questo rapporto l’ambiente si impone con le sue richieste è facile che la persona sviluppi un falso Sé. Per Winnicott, una madre-ambiente inadeguata espone il bambino ad una serie di micro-traumi reali che esercitano una pressione e un’interferenza sul Sé del neonato. Lo psicoanalista inglese riteneva che tutta la psicopatologia fosse caratterizzata dalla presenza del falso Sé, che si presentava con una gravità variabile a seconda dei casi.
Il vero Sé può essere inteso come il nucleo irriducibile dell’individuo, quella parte che non è sensibile alla socializzazione. Se ammettiamo quest’ipotesi dovremo anche rinunciare ad una concezione socio-costruttivista radicale dell’essere umano. Alcuni esponenti del movimento relazionale in psicoanalisi sono stati così impegnati a rifiutare la teoria delle pulsioni, che hanno finito per mettere al bando ogni proprietà endogena della mente che si contrapponesse all’influenza sociale, come se queste proprietà ricordassero il concetto di pulsione o una visione essenzialista della mente.
Lo psicoanalista Morris Eagle cita anche Rapaport, il quale sosteneva che sono proprio le pulsioni a porre dei limiti all’influenza sociale: “Quando queste proprietà essenziali vengono sconfessate o violate dall’influenza sociale, perdiamo addirittura la nostra umanità e diventiamo dei robot sociali. Rapaport colloca le proprietà essenziali dell’essere umano proprio nelle pulsioni endogene piuttosto che interamente nelle influenze sociali”. E’ possibile pensare che se ogni essere umano fosse il frutto esclusivo delle relazioni che lo circondano senza portare nulla in dotazione con sé, non si troverebbero tante differenze tra le persone. Invece esistono sempre notevoli differenze, e solo nella consapevolezza di questi limiti è veramente possibile muoversi in libertà nelle relazioni.
Bibliografia
Morris Eagle (2012), Da Freud alla psicoanalisi contemporanea. Milano: Raffaello Cortina Editore